venerdì 11 gennaio 2008

D’Atri e Manigrasso trazem Dom Sebastião, Goya e Granados ao Instituto Português



Mily Possoz
1943
Figurinos para o bailado “D. Sebastião“ – Companhia de Bailados do Verde Gaio
Lisboa, Museu Nacional do Teatro

Regressando um pouco atrás...

No dia 20 de Dezembro passado, Francesco D’Atri e Roberto Manigrasso, alunos de língua e cultura do Instituto Português de Santo António em Roma, ofereceram aos colegas um belíssimo espectáculo intitulado “Esperando o Natal – intervalo Musical”.

Ao piano, Francesco D’Atri, interpretou com virtuosismo Purcell (Sefauchi’s Farewell Prelude in C) e Granados (Preludio; Añoranza) enquanto a voz recitante de Roberto Manigrasso declamou com grande expressividade o Soneto nº 116 de Shakespeare e a “Lettera di Don Sebastiano de Aviz a Franisco Goya”, do lusitanista Antonio Tabucchi.

A relação entre texto e melodia não foi casual, como nos explicam os Artistas:
«I brani scelti come accompagnamento al testo letterario sono due composizioni per clavicembalo dell’elisabettiano Henry Purcell, che ben valorizzano la malinconica saggezza di Shakespeare.»

A respeito da interpretação de Tabucchi /Granados:
«Con questa lettera cronologicamente incongrua Sebastiano de Aviz (1554-1578) commissionerebbe a Francisco Goya (1746-1828) un quadro iconograficamente incongruo. E’ tratta da “I volatili del Beato Angelico” di Antonio Tabucchi (Sellerio editore, Palermo 1987), una miscellanea epistolare il cui comune denominatore consiste proprio dall’impossibile relazione temporale tra mittente e destinatario.
Tabucchi, che è solito avventurarsi in situazioni irreali cariche di avvincenti connessioni eteronomiche, qui si produce in una struggente commessa del re portoghese al pittore spagnolo, all’indomani della battaglia di Al-Ksar el Kabir in cui lo stesso Don Sebastiano trovò la morte, nel fallito tentativo di ricacciare i Mori.
Anche la parte musicale ha voluto mettere in risalto l’”incongruenza” dell’operazione letteraria, avendo scelto brani del compositore spagnolo Enrique Granados, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, molto efficaci nell’evidenziare il carattere nostalgico e particolarmente evocativo del testo di Tabucchi.»

Na impossibilidade de revivermos aqui esse agradável e emocionante fim de tarde, aqui deixamos a transcrição da belíssima carta que Dom Sebastião não escreveu nunca ao pintor espanhol...

Lettera di Don Sebastiano de Aviz, re di Portogallo, a Francisco Goya, pittore

In questa mia dimensione di tenebra nella quale il futuro è già qui, ho sentito raccontare che le vostre mani sono insuperabili a dipingere carneficine e capricci. Aragona è la vostra terra, ed essa mi è cara per la sua solitudine, per la geometria delle sue strade e per il silenzioso verde dei suoi cortili nascosti dietro inferriate rotonde. Vi sono cappelle scure con immagini dolenti, reliquie, trecce di capelli in teche di vetro, flaconi di vere lacrime e di vero sangue – e piccole arene dove la fuga dalla bestia è impossibile e dove uomini snelli giocano con agili passi di ballerini. Della nostra penisola la vostra terra ha una virtù quintessenziale, nelle linee, nella fede e nella furia: di esse sceglierò alcune figure del simbolo, che come segno araldico di un paese unico voi siglerete in margine al quadro che vi ordino.
Dunque sulla destra farete il Sacro Cuore di Nostro Signore; ed esso sarà stillante e avvolto di spine come nelle iconografie che i ciechi e gli ambulanti vendono sui sagrati delle nostre chiese. Solo che sarà fedelmente riprodotto secondo l’anatomia dell’uomo, perché per patire in croce Nostro Signore si fece uomo e il suo cuore scoppiò umanamente e fu trafitto in quanto muscolo di carne. Voi lo farete così, muscolare e pulsante, turgido di sangue e di dolore: con il disegno delle vene, le arterie recise e il reticolo minuzioso della membrana che lo avvolge e che sarà aperta come un tendaggio e ripiegata su se stessa come la buccia di un frutto. Nel cuore sarà bene conficcare la lancia che lo trafisse: essa deve avere la lama a forma di uncino, onde produrre uno squarcio dal quale il sangue scorra copioso.
Sull’altro margine del quadro, a media altezza, così che risulterà necessariamente sul limitare dell’orizzonte, dipingerete un piccolo toro. Lo farete accucciato sulle zampe posteriori e con le zampe anteriori gentilmente atteggiate in avanti, come un cane domestico; e le sue corna saranno diaboliche e il suo aspetto malvagio. Nella fisionomia del mostro profonderete l’arte di quei capricci nei quali eccellete, e dunque sul suo muso passerà un ghigno: ma gli occhi saranno ingenui e quasi fanciulleschi. Il tempo sarà brumoso e l’ora quella del crepuscolo. Un’ombra serale, pietosa e molle, starà già calando e velerà la scena. Sul terreno ci saranno cadaveri, moltissimi cadaveri, fitti come le mosche. Voi li farete così, come siete bravo a fare, incongrui e innocenti come sono i morti. E accanto a loro, e fra le loro braccia, dipingerete le viole e le chitarre che essi portarono per compagnia verso la morte.
In mezzo al quadro e bene in alto, fra nuvole e cielo, farete un vascello. Esso non sarà un vascello ritratto secondo il vero, ma qualcosa come un sogno, un’apparizione o una chimera. Perché sarà insieme tutti i vascelli che portarono la mia gente per mari ignoti verso lontane coste e negli abissi infiniti degli oceani; e insieme sarà tutti i sogni che la mia gente sognò affacciata alle scogliere del mio paese proteso sull’acqua; e i mostri che essa creò nell’immaginazione, e le favole, i pesci, gli uccelli abbaglianti, i lutti e i miraggi. E insieme sarà anche i miei sogni che ereditai dai miei avi, e la mia silenziosa follia. Alla polena di questo vascello, che avrà figura umana, darete sembianze che paiano vive e che ricordino lontanamente il mio volto. Su di esse potrà aleggiare un sorriso, ma che sia incerto e vagamente ineffabile, come la nostalgia irrimediabile e sottile di chi sa che tutto è vano e che i venti che gonfiano le vele dei sogni non sono altro che aria, aria, aria.

1 commento:

Unknown ha detto...

E' bellissimo il testo della lettera "incongrua" di Don Sebastiano a Francisco Goya.
E' poesia e mi trovo a rileggerlo molte volte...
Ivana Bartolini