venerdì 31 agosto 2012

Maria Serena Felici - mais uma tradução para a NUOVA FRONTIERA

Agradecemos a indicação e saudamos com entusiasmo este belo trabalho que a nossa aluna, amiga e colaboradora MARIA SERENA FELICI tem vindo a fazer, em colaboração com a casa editora "La Nuova Frontiera".
Muitos parabéns, Maria Serena! Anteve-se um futuro brilhante para ti!
 
I morti, Luiz Ruffato
traduzione di Maria Serena Felici
 
Una telefonata di Toninho avvertì Luis Augusto dell’emorragia del padre, ma Livia è incinta, una cosa un po’ complicata, il dottore ha raccomandato riposo assoluto, un problema che non t’immagini, si convinse che non era il caso di lasciarla lì e partire immediatamente, sai com’è, poi i sensi di colpa. Una settimana dopo, Delinha al telefono, ascolta Guto, è che Raul…, mi dispiace tanto, eccetera eccetera.
L’insonnia lo riscaldò nella notte gelida, pochi posti occupati sulla linea San Paolo-Ubá, i fari che combattevano una battaglia persa contro la nebbia fittissima, il silenzio assordante del motore, l’odore pungente di abiti stanchi. Ricordava l’ultima volta che si erano visti, passeggiavano lungo la via principale, e il padre dava libero sfogo ai suoi deliri, Stavo pensando di aprire un’attività, sai, c’è un amico mio, delle parti di Dona Eusébia, che produce biscotti, di quelli al burro, una bella idea, che ne dici, ma lui neanche ci faceva caso, ormai le conosceva a memoria quelle trovate che mai si traducevano in qualcosa di pratico, e servivano unicamente a dare un sapore alle giornate insipide del suo vecchio.
Si era ormai fatto giorno, e lui, distratto, scese, sul piazzale della stazione prese un taxi, arrivò a Rodeiro giusto in tempo per la veglia funebre in casa della zia Luzia, in una stanza affollata e dall’aria irrespirabile per via della paraffina e dei fiori agonizzanti. Abbracciò a lungo la madre, gli avanzi di un tempo andato vestiti a lutto, Toninho, lo zio Jeremias, la zia Sílvia, strinse la mano a parenti o presunti tali, salutò volti sopraggiunti dal passato e altri mai visti prima, e solo dopo i saluti si chinò su quel defunto che era stato suo padre, con le tempie che gli pulsavano, con il sonno, la stanchezza, lo sconforto. Osservò quel viso dalla barba appena fatta, deformato ma sereno, come se, allo scorgere la morte sul proprio cammino, lui, ormai stanco di tutto, fosse capitolato senza opporre resistenza; e non sopraggiunsero le lacrime. Rifiutò cortesemente la sedia che qualcuno gli cedeva e si trascinò in cucina; voci sussurrate riprendevano discorsi lasciati a metà. Bevve un sorso di caffè lungo in un bicchiere da coca-cola e masticò controvoglia un pezzo di dolce ancora tiepido. Poi infilò la porta che dava sul cortile, rettangolo di terra delimitato da stecche di bambù intrecciate con del filo spinato, dove un gruppetto discuteva sulla siccità.
All’improvviso si udirono i rintocchi della chiesa di São Sebastião, che annunciavano l’inizio del rito delle esequie, imponendo il silenzio ai parlanti. Decine di piedi lenti e composti abbandonarono le stanze, accompagnandosi con lamenti e gemiti soffocati. Spossato, Luís Augusto rimase lì, appoggiato al pozzo. Un odore remoto di fagioli soffritti nel lardo impregnò l’aria.
Poco alla volta, il silenzio calò su ciò che restava del mattino, il cinguettio degli uccelli, il vagito malinconico di un vitello, il rumore dell’acqua corrente del rubinetto, una donna triste, il suo ventre tondo gravido schiacciato contro il lavatoio, lava pazientemente i piatti mentre qualcuno spazza con energia il pavimento della stanza orfana del cadavere e delle candele, un vento freddo avvampa dalla porta, come a voler scacciare la caligine della morte. La voce del prete rimbombò nell’altoparlante, l’eterno riposo donagli, Signore, intonava il requiem. Risolutamente, fece il giro esterno della casa, passando lungo il perimetro di un’aiuola molto ben curata, rose, margherite, garofani, gelsomini, foglie, due piante di papaya, una di limoni, aprì il portoncino di legno morsicato dai tarli, e si mise a vagare nei paraggi della piazza principale.
Sarà stata volontà del padre quella di farsi seppellire a Rodeiro? Lui, che diceva sempre, in quel suo linguaggio un po’ oscuro da contadino povero e orgoglioso, che vivere non è che tirare a campare, Figlio mio, dalla campagna a Cataguases e da Cataguases a San Paolo, San Paolo, quella sì che è vita, ripeteva, con gli occhi che gli brillavano; lui, che evitava di evocare i tempi in cui si spezzava la schiena, per valli, cave, campi, lui che zappava tra campi di mais e puzza di bruciato, immerso nel fango delle risaie altrui, lui, proprio lui, adesso sarebbe rimasto per sempre abbandonato in quel cimitero decrepito, ammasso di tombe ammucchiate senza criterio in cima al precipizio.
In quel momento la salma comparve sul sagrato, sorretta da una parte da Toninho e dallo zio Nenego, dall’altra da Lalado e dallo zio Juca. Lui si inserì discretamente in una delle due file parallele – in testa la madre e la sorella, a braccetto, le occhiaie profonde – che si allungarono a formare un corteo taciturno, che avanzava lentamente sotto occhi curiosi che facevano capolino dalle finestre.
Suo padre… a che gli era servito farsi in quattro per il sostentamento della famiglia, se non si era ritrovato in tasca altro che maldicenze e neanche uno straccio di lavoro fisso? A che scopo aveva sognato i propri figli sistemati e accasati, se poi aveva ricevuto soltanto delusioni su delusioni? Le male lingue attribuivano la sua pressione alta ai dispiaceri provocati dai figli.
Júlia, non solo si era dovuta sposare in fretta e furia, ma si era anche separata, ed era tornata a casa portandosi appresso due figli e l’accusa infamante di aver tradito il marito, secondo l’opinione comune. E il padre, poteva ancora sentirlo, mentre scuoteva la testa, e diceva Il buon giorno si vede dal mattino… Lalado, motivo di pettegolezzi e mortificazioni costanti, una volta ce le aveva prese in una bettola, il corpo coperto di vomito e ferite sul quel pavimento immondo, e lui era stato svegliato all’alba, quasi un infarto, e era dovuto correre al commissariato, morendo di vergogna, per liberarlo da quell’umiliazione, nell’angolo di una cella carceraria, in compagnia di brutti ceffi, topi, scarafaggi. Lui, così orgoglioso della sua vita retta, senza macchie, povero, sì, ma a testa alta, si trascinava appresso ovunque andasse un carico troppo pesante di amarezze, chi si interessava a lui lo faceva solo per poi sparlarne alle spalle. Con Toninho poi, ligio ai suoi doveri di operaio, orari, gerarchie, il problema era diverso: non riuscivano proprio a capirsi, con gran dispiacere della madre. Se iniziavano a parlare del tempo, prima o poi il discorso andava a parare sulla politica; se l’oggetto della conversazione era la famiglia, o la pianta di jabuticaba, o qualsiasi altra cosa, loro trovavano il modo di andare a finire a parlare di politica, e lì le cose si mettevano male. Tra il padre e i Prata non correva buon sangue, per ragioni mai svelate, perciò il vecchio non sopportava il comportamento del figlio in quella fabbrica, lecchino con il capo, delatore dei colleghi, servo del potere pronto a tutto pur di passare dalla condizione di subalterno a quella di padrone, e così ogni dialogo degenerava in battibecchi, alterchi, discussioni, che non facevano altro che alimentare il rancore di Toninho verso il resto del mondo, giacché Delinha non c’era verso che rimanesse incinta, a causa di un difetto uterino, Dio mi perdoni per quello che dico, ma sembrava un castigo divino, le avevano provate tutte, consultando persino un medico di Juiz de Fora, di Belo Horizonte, inutilmente. Gli rimaneva il figlio più giovane, il quale, ingrato, se n’era andato a vivere a San Paolo, alla faccia di tutti, ogni tanto una lettera, qualche rara telefonata, notizie telegrafiche, d’altra parte, si diceva , ormai era diventato uno importante, aveva studiato, non si ricorda più di noi, Eh, sentenziava il padre, Non c’è niente di peggio dell’ingratitudine, sebbene, in fondo, un po’ si compiacesse di quell’unico figlio che era riuscito a spiccare il volo, lui, che era convinto che la vita consistesse nel tirare avanti, sempre e comunque. Mentre il becchino disponeva i mattoni che murano il loculo, Luís Augusto, osservando il corteo che si smembrava tra le tombe, si rese conto di quanto si sentiva distante e al tempo stesso legato a quella miseria, a quella abulia, a quel conformismo atavico, e la cerimonia non era ancora finita quando, per sottrarsi alle condoglianze, per evitare la falsa confidenza di parenti lontani e vicini, si congedò dalla madre, che gli sussurrò, inconsolabile, La nostra famiglia si sta sgretolando, Dio santo. S’infilò nella prima corriera per Ubá, e ritornò a San Paolo, in preda al panico, come se stesse fuggendo da una zona disastrata, da una regione appestata.

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